San Carlo inguaiato. Canessa, decano del teatro napoletano: “Basta con l’opera buffa dei dissidi politici”


L'intervista
La nuova bufera sul più antico teatro operante in Europa e l'interesse per il sipario, ormai in secondo piano: “Nei teatri lirici tutti subiscono l’euforia della ribalta e tutti si sentono protagonisti. Per governarli con successo non basta un manager qualunque”
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Fare appello alla saggezza dei “grandi vecchi” non s’usa più: a Francesco Canessa, novantott’anni di cui quasi venti alla guida del Teatro San Carlo, nessuno ha chiesto un parere nei mesi trascorsi dalla fine della sovrintendenza Lissner alla riunione del Consiglio di indirizzo di lunedì scorso, quando s’è consumata la rottura tra il governo (e al suo côté il governatore campano Vincenzo De Luca) e il sindaco di Napoli. Gaetano Manfredi, che aveva sconvocato la riunione per un impegno a Palazzo Chigi, non ha mandato giù la nomina di Fulvio Macciardi, già sovrintendente del Comunale di Bologna: da presidente della Fondazione del teatro partenopeo si è rifiutato di ratificarla e ha girato la pratica ai legali, con l’annuncio di una gragnuola di ricorsi al Tar e alla giustizia civile.
La nuova bufera sul più antico teatro operante in Europa non rovina ma amareggia l’estate di Canessa, che si riposa nella villa caprese di una famiglia sposata per davvero alla lirica: la sorella minore di suo padre andò a nozze con Enrico jr, secondogenito del grande Caruso. “Le notizie sul San Carlo non mi guastano il sangue ma mi sollecitano la mente: in questi giorni sto cercando disperatamente di capire cosa abbia di diverso questo teatro dagli altri per accendere tanti appetiti politici e per giunta organizzati così male. Prima non era così: sono riandato ai ricordi della mia lunghissima gestione, 19 anni e quattro mesi, ma non rammento che mi abbiano mai domandato di far cantare un baritono invece di un altro perché era democristiano o socialista”.
Non è che la memoria, qualche volta, addolcisce il passato? “La politica c’era, ma non invadeva: mi confermavano e riconfermavano alla sovrintendenza senza colpo ferire e con sindaci diversi. L’unica ingerenza, giuro, fu una telefonata di Antonio Gava per raccomandare la figlia di un suo collaboratore che desiderava entrare all’accademia di danza. Nemmeno i sindacati, che allora esercitavano un potere vero, misero seriamente il bastone fra le ruote. Facevano un po’ di casino, ma al momento di alzare il sipario s’accantonavano le divergenze. Ora invece mi pare che l’attività teatrale sia un interesse di secondo piano”.
Se qualcuno le telefonasse, cosa gli suggerirebbe? “Chi vuole che chiami: sono un uomo del secolo passato, e quando ti qualificano come emerito o decano vuol dire che non conti proprio più. Il consiglio non richiesto è di evitare un nuovo caso Stéphane Lissner, che ricorse contro la nomina maldestra dell’ex ad Rai, Carlo Fuortes, e venne reintegrato con tante scuse. Capisco il disappunto di Manfredi, ma se aveva un nome forte in questi mesi avrebbe già dovuto tirarlo fuori. La nomina di Macciardi sarà passata con qualche anomalia, con il voto di tre soli consiglieri su cinque in una riunione disdetta peraltro la mattina stessa, però impugnarla rischia di bruciare sia Macciardi sia un eventuale candidato, che per ora conosce solo lui, gradito al sindaco”.
L’emerito consiglia di ingoiare il rospo: “E’ anche una questione di curriculum: Macciardi ha guidato il Comunale di Bologna per due mandati in un momento molto tribolato, è il presidente dell’Associazione nazionale fondazioni lirico-sinfoniche che raggruppa i quattordici enti lirici italiani, in più siede nel board di Opera Europa a Bruxelles. Mi sembra possa garantire quel prestigio internazionale che è la vera forza del San Carlo meglio di qualsiasi candidato interno. Nessuno, per quanto mi risulti, ha i titoli per competere. Li avrebbe avuti il contrastato Fuortes, ma al Maggio Musicale Fiorentino sta benissimo e lì resterà. L’importante è che smettano di litigare, per il bene del San Carlo e al di là dei cavilli giuridici: la politica è una cosa e La Traviata un’altra”.
La memoria scalda l’emerito: “E’ anomalo che si generino simili pasticci in un settore così tecnico. Solo chi ha diretto teatri importanti sa cosa voglia dire mettere d’accordo i direttori, i cantanti, l’orchestra, il coro, il corpo di ballo, gli operatori di palcoscenico. Nei teatri lirici tutti subiscono l’euforia della ribalta e tutti si sentono protagonisti. Per governarli con successo non basta un manager qualunque”. Come andrà a finire? “Con una facezia finisco intanto io: al San Carlo era proibita l’opera buffa e la stanno recitando fuori dal palcoscenico. Ridiamoci, ché chi non ride piange”.
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